Un paese (non) per giovani

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-Articolo scritto da Giorgio Ballisai studente in economia aziendale presso l’Università di Pisa

L’istruzione pubblica è il futuro. Nonostante questo l’Italia viene definito: “Un paese fermo perchè non investe sui giovani[1]” ‘Enrico Giovannini ex-presidente ISTAT (2011)’

La spesa in istruzione

L’investimento in istruzione in Italia e la sua evoluzione temporale. Dalla storia dei nostri nonni al futuro delle prossime generazioni.

Nel 2017 l’Italia ha speso 66 miliardi[1] in istruzione pubblica. Una cifra imponente, che in realtà  rappresenta “solo” il 7,9[2] per cento della spesa pubblica totale:  questo dato colloca l’Italia ultimo  stato membro Ue nella graduatoria della spesa in istruzione[3]. Il perché di questo scarso investimento non va ricercato solo nella classe dirigente attuale, queste statistiche fanno dubitare sulla lungimiranza della nostra politica.

Un Paese che non investe in istruzione, non investe nel suo futuro. La quantità di spesa in istruzione non dice granché sul sistema educativo, sul funzionamento e sulla sua efficienza. Ciò nonostante abbiamo assistito ad un progressivo taglio della spesa in istruzione dal 2009[4],in piena crisi finanziaria, l’Italia spendeva circa 72 miliardi, dato in continua discesa fino al raggiungimento dei 65 miliardi del 2016.[5]

La serie storica dell’istruzione Italiana

Nella fascia 25-65 anni la media ocse registra il 37 %[6] di laureati, contro il 19% in Italia, che si colloca nuovamente a fondo classifica. L’istruzione, soprattutto quella universitaria  sembra risentire pesantemente in termini di iscritti in confronto ad altri paesi. Mediamente 1 sola persona su 5  nel range 25-65 anni è laureata. Ma non è sempre stato così.

Italia 1911. Circa il 37,9[7] % della popolazione Italiana è analfabeta. Viene emanata la prima legge sull’obbligo scolastico che contribuirà negli anni a ridurre l’analfabetismo dell’8 %.

Una svolta nella lotta all’analfabetismo avviene grazie alle scuole reggimentali in cui i maschi soggetti alla leva, imparavano a leggere e a scrivere.

Italia 1951. Quanti laureati erano presente tra i “nonni” della generazione Z? La serie storica dell’ISTAT registra l’1% della popolazione. Solo il 3.3% aveva un diploma, nonostante il tasso di analfabetismo fosse sceso al 12%. L’istruzione terziaria è un bene raro.

La vicenda cambia, aumenta la spesa in istruzione con il passare degli anni e il crescere del PIL. Molte le riforme , tra cui la legge n°1859/26 con la creazione di una sola tipologia di scuola media unificata che permetta l’accesso a tutte le scuole superiori.

Passano gli anni, nel 2001 i laureati diventano il 7,5%, dieci anni più tardi l’11.2%. La percentuale dei diplomati raggiunge il 30,2%. La trend line dell’istruzione del “capitale umano” è in crescita. Fermo restando che il mondo è fortemente mutato dal 1911. L’avvento di internet ha radicalmente cambiato il mondo del lavoro, richiedendo figure altamente  specializzate. Potrà l’Italia stare al passo con i cambiamenti? I continui tagli all’istruzione causeranno una minor competitività degli italiani sul mercato del lavoro?


[1] https://www.istat.it/it/files/2010/12/Rassegna-Sindacale.pdf

[2]  https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-spesa-per-la-pubblica-istruzione

[3] https://www.agi.it/fact-checking/spesa_istruzione_italia_ultima_europa-6801447/news/2019-12-28/

[4] https://www.agi.it/fact-checking/spesa_istruzione_italia_ultima_europa-6801447/news/2019-12-28/

[5] https://www.openpolis.it/quanto-spendono-litalia-e-gli-altri-paesi-ue-nelleducazione-dei-cittadini/

[6] http://scuola24.ilsole24ore.com/art/universita-e-ricerca/2019-09-13/italia-quartultima-mondo-il-valore-laurea-181125.php?uuid=ACYnJIk

[7] www.istat.it

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