Titoli di stato e rendimenti negativi

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Articolo scritto da Davide Segato, studente presso Università Ca’ Foscari di Venezia.

Si è sentito parlare ultimamente di tassi negativi sui titoli di stato di vari paesi, dalla Danimarca alla Germania alla Svizzera. Qualcuno potrà storcere il naso all’idea di un tasso di interesse negativo: “quindi mi pagano per farmi prestare i soldi?”. La questione è un po’ più complicata.

Per gran parte della storia umana i tassi d’interesse sono stati positivi: ho bisogno di un prestito, oltre a ripagarlo aggiungerò una somma per il servizio ricevuto e per compensare la possibilità che io non lo ripaghi (il cosiddetto “premio di rischio”). Da un po’ di anni però, varie banche centrali hanno iniziato a sperimentare con i tassi negativi, in risposta alla debole crescita economica che ha caratterizzato l’ultimo decennio. 

Chi decide i tassi d’interesse?

Esistono vari tipi di tassi sul mercato finanziario, ad esempio tassi sui mutui, sui finanziamenti alle imprese, sui titoli di stato a varie scadenze; tuttavia le Banche Centrali stabiliscono un tasso di riferimento per il costo del credito all’interno dell’economia di quella nazione. Questo tasso benchmark viene regolato in base alle varie fluttuazioni del ciclo economico.

Ricordiamo da un corso base di Macroeconomia come secondo i modelli una politica monetaria espansionistica (ovvero un aumento del circolante di moneta) possa nel breve termine stimolare l’economia: una maggiore quantità di denaro in circolo causerà un surplus di liquidità, rendendo meno oneroso il credito (appunto, un abbassamento del tasso di interesse) e stimolando i finanziamenti a imprese, privati o enti istituzionali i quali avranno un più facile accesso al consumo o alla realizzazione di investimenti produttivi.

Qual è lo scopo dei tassi negativi?

Altro scopo di una politica monetaria espansiva può essere quello di riportare a livelli ottimali il tasso di inflazione (il target della BCE per l’Eurozona per esempio è del 2% annuo). Quando una normale politica espansiva non basta, ecco che una banca centrale può decidere di abbassare i tassi d’interesse fino a fargli superare il cosiddetto “zero lower bound”, rendendoli negativi. 

Come vengono applicati?

I tassi negativi stimolano la spesa ed il credito (che senso ha tenere parcheggiate grosse somme di liquidità quando esse sono erose da un tasso negativo sui depositi?), tuttavia raramente vengono applicati dalle banche commerciali ai depositi dei propri clienti, né tantomeno a mutui o finanziamenti. Piuttosto, vengono applicate delle imposte alle banche sulle somme di denaro che esse detengono presso le banche centrali, con lo scopo di stimolarle a prestare. 

Esistono quindi istituzioni che vengono pagate per farsi prestare denaro?

A concorrere alla definizione del tasso d’interesse influiscono anche le aspettative riguardo l’inflazione futura: se decido di prestare soldi ad un ipotetico tasso annuo del 2% ma mi aspetto un’inflazione del 3%, dovrò rivedere i miei tassi d’interesse al rialzo, per non ritrovarmi con una perdita. 

La bassa inflazione degli ultimi anni unita a queste tasse sui depositi delle banche ha concorso alla concretizzazione di tassi sottozero per i titoli di vari paesi: Il Bund tedesco a 10 anni per esempio, raggiunge un rendimento che oscilla da qualche mese attorno al -0.45%: gli investitori infatti, avranno ritenuto più conveniente prestare in perdita alla Germania piuttosto che detenere i loro capitali altrove.  

Perché non lo si è fatto prima?

Oltre ai vari problemi di iperinflazione che possono essere causati dalle politiche espansive, i tassi negativi presentano alcuni svantaggi, primo fra cui erodono i profitti delle banche indebolendo la stabilità del sistema finanziario. Sono perciò uno strumento piuttosto non convenzionale. 

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