Texas: un’America in miniatura

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Articolo scritto da Nicola Pieri, studente di Economia e Management @Unibo.

Tra tutte le stelle della bandiera americana ve ne sono alcune che brillano più di altre, certe che riteniamo di conoscere meglio di altre e talune con una storia diversa dalle altre. Racchiuso fra questi tre insiemi c’è lo Stato del Texas, ma probabilmente non lo conosciamo così bene come pensiamo.

Secondo Mark Twain “non sono le cose che non sai a metterti nei guai. È quello che dai per certo che invece non lo è”, ma non è l’unico a pensarla così. Pare che il regista Adam McKay sia abbastanza d’accordo con la citazione da averla inserita all’inizio di La grande scommessa.[1] Questa trovata cinematografica aveva lo scopo di mettere in guardia gli spettatori dalla dolorosa vicenda raccontata nel film; in questa sede prometto ai lettori che l’intenzione non è quella di avvertirli della prossima calamità, purché essi continuino nella lettura.
Una delle cose che importiamo di più dal continente americano e che ci dà assuefazione è la cultura, e fin qui niente di strano. Nella maggior parte dei casi arriva a noi confezionata in prodotti di intrattenimento popolari, progettati per avere un’ampia distribuzione.[2] La sistematica esclusione delle novità da questo tipo di comunicazione ci impedisce di venire a contatto con realtà diverse dalle mitiche East Coast e West Coast. In questo senso, la vivacità del Texas contemporaneo merita di essere approfondita.

Cerchiamo di fare lo sforzo di allontanare gli innumerevoli stereotipi che ci balenano in mente ogni volta che sentiamo parlare del Texas, antologia del Far West compresa. Oggi il Texas è una America in miniatura, in termini sia di standard di vita che di cultura. Nel 2019, il PIL texano era pari a 1 886 956 milioni di dollari, quasi quanto quello italiano (1 988 636 milioni di dollari); dal momento che la popolazione del Texas è circa la metà di quella dell’Italia, ne discende che il PIL pro capite di un texano è, in media, il doppio di quello d’un italiano.[3] Come spesso accade, le aree geografiche più sviluppate economicamente sono anche quelle che riescono ad attirare nuovi abitanti disposti a trasferirvisi. Oltre alla comprensibile immigrazione esterna, in Texas acquista grande rilevanza l’immigrazione interna, quella cioè che presume l’attrazione del capitale umano dagli altri stati della nazione. Si tratta di un fenomeno particolarmente interessante perché permette di cogliere quali sono i luoghi più attraenti secondo gli stessi cittadini americani. La figura seguente ne è un’ottima raffigurazione.


Figura 1: Rappresentazione dei flussi migratori che coinvolgono la Contea di Travis, dove di trova la capitale Austin. Le linee nere sono i flussi in entrata, quelle rosse in uscita; la pesantezza del tratto rispecchia il volume di persone. Come è facile vedere, il trend è enormemente in favore del Texas e in particolare delle zone urbane dello Stato. Fonte: articolo di The Economist del 16/06/2010.

Affidandoci solo a questa evidenza ci potrebbe venire il dubbio che l’America autentica non sia altro che quella che si trova tra una costa e l’altra, il Texas appunto. “Noi guidiamo il mondo perché – e siamo gli unici a farlo – attiriamo il nostro popolo, la nostra forza, da ogni paese e ogni angolo del mondo.[4] Se i cittadini americani propendono quasi all’unanimità per trasferirsi in Texas, allora significa che credono di aver individuato il prossimo leader degli Stati Uniti. Certo non sarà facile strappare il primato alla California, che custodisce Hollywood e la Silicon Valley, i luoghi dove sono state prese la maggior parte delle decisioni che ci hanno cambiato la vita negli ultimi 50/60 anni. Per il momento la bilancia migratoria sembra dare ragione a Austin; probabilmente però, invece di chiederci se mai riuscirà nell’impresa, dovremmo accettare che un giorno gli USA avranno a disposizione due California (o due Texas, per i più sfacciati).


Figura 2: Flussi migratori che coinvolgono la Contea di Santa Clara, dove si trova la Silicon Valley. I segmenti che legano la contea e le zone urbane del Texas sono quasi esclusivamente rossi. Fonte: articolo di The Economist del 16/06/2010.

[1] Titolo originale: The Big Short (2015). In realtà, l’idea di McKay non è del tutto originale dato che, all’inizio dell’omonimo libro di Michael Lewis del 2010, da cui il film è tratto, è presente una citazione di Lev Tolstoj che comunica la stessa cosa: “Si possono spiegare gli argomenti più difficili all’uomo più lento di comprendonio se non si è già fatto un’idea degli stessi, mentre non si può chiarire nemmeno il concetto più semplice all’uomo più intelligente se è fermamente convinto di conoscere già, senz’ombra di dubbio, ciò che ha di fronte.”

[2] A questo punto posso ammettere che l’espediente (film e citazione) con cui ho aperto l’articolo è servito per attirare la curiosità del maggior numero di persone e, appunto, per dimostrare l’irresistibile attrazione che proviamo nei confronti della cultura statunitense.

[3] La fonte è Wikipedia, che a sua volta ha raggruppato i dati di International Monetary Fund e Bureau of Economic Analysis. Naturalmente, un’analisi completa terrebbe conto anche di come la ricchezza è distribuita nella popolazione ma non è questa la sede adatta. I dati riportati sono più che sufficienti per vincere lo stereotipo dell’arretratezza.

[4] Citazione dal libro Questa è l’America, Francesco Costa, 2020, pp. 73.

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