Smart working: una nuova era

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Articolo scritto da Francesco Punzi, laureando in Economia Aziendale uniBa

 

L’epidemia COVID-19 e la necessità di limitare, per quanto possibile, gli spostamenti dei lavoratori, ha fortemente incentivato l’interesse per il “lavoro agile”.

Il fenomeno dello Smart working viene introdotto nella legislazione italiana con la Legge n. 81/2017, in cui vi è la definizione data dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari (o orari spaziali) e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita tra dipendente e datore di lavoro, in modo da favorire la crescita della sua produttività.”

Il Legislatore, dunque, ha introdotto questa nuova modalità con l’intento di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di apportare un radicale cambiamento culturale nella sua concezione.

 

I benefici del lavoro agile:

Il primo vantaggio che i lavoratori in Smart working evidenziano è l’equilibrio tra vita personale e attività professionale: rende possibile la vicinanza ai propri cari e una migliore gestione delle esigenze personali e della propria casa. Ciò costituisce un cambiamento da un punto di vista umano, che influisce sulla sfera professionale.

Secondo l’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano gli smart worker sono infatti più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% degli altri lavoratori), più orgogliosi dei risultati dell’organizzazione in cui lavorano (71% rispetto al 62%) e desiderano restare più a lungo in azienda (71% rispetto al 56%). I lavoratori agili hanno maggiore autonomia e diventano più responsabili dei risultati, riuscendo a gestire meglio il tempo con più efficienza ed efficacia.

Inoltre, lo Smart working elimina tutti i tempi non collegati allo svolgimento diretto del proprio lavoro: quelli di trasferimento verso e da i luoghi di lavoro, le pause, le attese, i tempi morti.

Si stima una media di 172 ore annue, quasi il 10% delle ore lavorative totali, guadagnato con minori costi per trasporto e altre spese connesse al lavoro di ufficio.

Allo stesso tempo, non sono da sottovalutare i vantaggi per le aziende; infatti, tutti gli studi effettuati sulle esperienze di Smart working hanno confermato che la produttività dei lavoratori, ossia il rapporto tra fatturato e costo orario per dipendente, aumenta di circa il 15%. Questo dipende anche dal calo del tasso di assenteismo per permessi e malattie (circa il 60% in meno). Se i dipendenti sono meno in ufficio, di conseguenza si riducono le spese per le mense, illuminazione, energia, pulizia.

Quindi, un uso diffuso e consapevole dello Smart working porterebbe ad un’importante crescita economica. Si stima che il PIL italiano, grazie alla maggiore produttività, potrebbe aumentare e raggiungere un risultato stimato in circa €13,7 miliardi/anno (Politecnico di Milano).

I limiti dello smart working:

Se le prime analisi dimostrano la buona riuscita generale di questa nuova modalità, in particolare nelle realtà più grandi del terziario, esistono tuttavia dei limiti.

Il principale ostacolo alla diffusione di soluzioni di lavoro in remoto è dovuto ad una bassa digitalizzazione, sia umana, che per mancanza delle infrastrutture tecnologiche.

La diffusione di problematiche eterogenee, quali l’organizzazione del lavoro gerarchico, l’assenza di orari ma senza un’autonomia nella gestione dei tempi e del lavoro, la mancanza di fattori tecnologici e culturali abilitanti, possono generare effetti negativi come stress, iperconnessione, demotivazione e percezione di abbandono e isolamento. Senza contare l’impossibilità di qualunque contatto fisico con l’azienda e i colleghi.

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e caposcuola nella ricerca scientifica nel diritto amministrativo, in un’intervista rilasciata a Paolo Bricco per “IlSole24Ore”, parlando della Pubblica Amministrazione italiana afferma: «[…] Il problema è come questo utilizzo dello Smart working si è inserito sulla realtà consolidata e abituale. Nessuno, in Italia, ha mai controllato il lavoro della Pubblica Amministrazione. I livelli di produttività erano già bassi prima. Figuriamoci adesso. Per molti è stato, ed è tuttora, un grande periodo di vacanza».

 

Conseguenze della pandemia sul mondo del lavoro:

Il COVID-19 ha messo in evidenza, con la politica del “tutti a casa” e senza un piano pubblico e un pensiero politico, i limiti e i difetti della macchina dello Stato.

Particolarmente critica è la situazione attuale della metropoli milanese: si contano fino a 100mila lavoratori in meno negli uffici di Milano e dintorni. Infatti, i residenti provenienti soprattutto dal Meridione, che la città aveva guadagnato in 20 anni, sono ritornati nelle loro città di origine e continuano a lavorare al Nord restando al Sud, con gravi ripercussioni sull’economia.

«Lo Smart working non può essere considerato normalità»: così Giuseppe Sala, sindaco di Milano, è intervenuto ai microfoni di Sky TG24. «Se dovessimo considerarlo normalità dovremmo ripensare la città e ripensare la città richiede tempo».

 

Come cambierà il mercato del lavoro quando il virus sarà sconfitto?

In un articolo sul “The Economist” dal titolo “Working life has entered a new era”, viene indicato l’anno attuale come spartiacque tra BC (before coronavirus) e AD (after domestication). «Una modalità di lavoro, quella dello smartworking, che da “concessione” di poche aziende illuminate si è trasformata d’un tratto nell’unico modo per far sopravvivere molte imprese in epoca di lockdown. Secondo l’autore, non sarà facile tornare nell’era BC. Perché ci sono elementi di vantaggio sia per i datori (risparmi sui costi) sia per i lavoratori (miglior equilibrio vita privata/lavoro)» (Francesco Bruno).

 

Fonte: IlSole24Ore

 

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