L’economia comportamentale: l’irrazionalità della mente umana che governa le nostre vite

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Articolo scritto da Pio Di Leonardo, laureato in Management per l’Impresa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

L’estate del 2008 è una data importante per gli studiosi di Economia, una data che segna non solo la crisi del sistema finanziario internazionale ma anche, e soprattutto, di molte delle teorie sulle quali tale sistema si reggeva. Soltanto pochi mesi dopo, nel dicembre 2008, la prestigiosa rivista Science si chiedeva: “Gli esseri umani non sono razionali, allora perché le teorie finanziarie assumono che lo siano?”

Le assunzioni dell’economia neoclassica, come gli “agenti razionali” e i “mercati efficienti”, forniscono solitamente buone approssimazioni dell’economia di tutti i giorni. Questo perché gli investitori sono razionali, nella maggior parte dei casi. Ma, come scrivono Motterlini e Guala nel saggio “Mente Mercati Decisioni[1]”, in circostanze estreme e di crisi, dove l’irrazionalità umana domina i mercati, i modelli quantitativi costruiti sulle premesse neoclassiche crollano. Tali premesse, infatti, non avevano le risposte agli interrogativi sul perché così tante persone avessero accesso ai mutui che non sarebbero stati in grado di pagare, sul perché Wall Street continuasse ad ignorare gli avvertimenti circa la bolla immobiliare. La prospettiva tradizionale non aveva, dunque, le risposte a tutte queste domande. Al contrario, l’economia comportamentale e cognitiva pone tali quesiti al centro del suo programma di ricerca, cercando l’irrazionalità umana in tutti gli aspetti in cui essa si manifesta.

L’economia comportamentale è una branca dell’economia che, a partire dall’analisi sperimentale e impiegando concetti tratti dalla psicologia, elabora modelli di comportamento alternativi rispetto a quelli formulati dalla teoria economica standard.

L’economia comportamentale/sperimentale rovescia, dunque, la teoria fino ad allora studiata, consentendo di ottenere teorie a partire dall’osservazione del mondo reale, ovvero da come gli investitori e, più in generale, le persone si comportano di fatto e non come dovrebbero comportarsi secondo il modello classico. Alla base di tutto c’è il fatto che gli esseri umani sbagliano, e sbagliano in continuazione, così di frequente che è possibile prevedere gli errori e costruire dei modelli di comportamento alternativi a quelli derivati dall’economica classica. Tutto ciò porta alla costruzione di nuovi modelli economici che tengono conto dei vincoli cognitivi e dell’influenza delle emozioni sulle scelte di investimento, consentendo di avvicinare la teoria al mondo reale, colmando lo scarto tra homo oeconomicus e l’investitore, tra i mercati efficienti in condizioni ottimali e i mercati in tempi di crisi. 

Il Premio Nobel a Kahneman e Smith: il mutamento delle scienze economiche

Facciamo un breve salto nel passato per conoscere meglio la storia recente dell’economia sperimentale. Nell’ottobre del 2002, l’Accademia delle Scienze svedese assegna a Daniel Kahneman Vernon Smith il Premio Nobel per l’Economia, consacrando l’economia cognitiva e sperimentale come uno dei più importanti sviluppi nelle scienze sociali dell’ultimo mezzo secolo, come ricordano Motterlini e Guala nel loro trattato. L’assegnazione del prestigioso riconoscimento riconosceva il lavoro di Kahneman “per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente nel campo del giudizio e delle decisione in condizioni di incertezza” (Nobel Press Release, 2002). Si tratta, quindi, di un contributo da parte di uno psicologo che, secondo le rigide convenzioni accademiche, non avrebbe dovuto nemmeno essere considerato un economista! Smith venne invece insignito del Nobel “per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l’indagine empirica in economia, soprattutto per lo studio di meccanismi di mercato alternativi”. Il premio del 2002 sanciva, dunque, un mutamento profondo delle scienze economiche. Il comitato del Nobel sottolineava, infatti, che “l’economia è stata comunemente considerata una scienza non-sperimentale, fondata sull’osservazione delle economie reali piuttosto che sugli esperimenti controllati nei laboratori. Oggi, tuttavia, un crescente corpo di ricerca è dedicato a modificare e controllare le assunzioni economiche di base; inoltre, la ricerca economica utilizza in modo crescente dati raccolti in laboratorio invece che sul campo”.

La mancata previsione della crisi del 2008

Ma è soltanto nel 2008 che il mondo intero capisce l’importanza dell’economia comportamentale e cognitiva. Nel settembre di tale anno Lehman Brothers Holdings Inc., considerato fino ad allora uno degli istituti finanziari più importanti al mondo, inizia formalmente le procedure di bancarotta. Già l’anno precedente, la banca era stata coinvolta nel crollo del mercato immobiliare americano, e in particolare nelle svalutazioni dei mutui subprime con i quali i consumatori statunitensi avevano finanziato il boom economico del nuovo millennio. Ma il 15 settembre 2008 il valore delle azioni di Lehman Brothers crollò del 90%, causando una caduta di 500 punti dell’indice Dow Jones. In seguito, come ricordano Motterlini e Guala, i governi degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e di molti Paesi asiatici furono costretti ad intervenire immettendo enormi quantità di denaro, arrivando persino a nazionalizzare alcuni istituti di credito. Gli economisti iniziarono a chiedersi come fosse stato possibile tutto ciò! Non si trattava certo della prima crisi finanziaria della storia. Nonostante le conoscenze accumulate nel tempo, nonostante gli sforzi degli economisti nello studio dei mercati finanziari, com’era potuto accadere tutto questo? Nel novembre del 2008 persino la regina d’Inghilterra Elisabetta II, durante una visita presso la prestigiosa London School of Economics, ebbe modo dichiedere alla platea gremita di insigni professori come mai non avessero previsto la crisi. La risposta è più complessa di quanto si pensi, ed è racchiusa nella mente umana, e nella sua capacità di prendere decisioni razionali (Guala, Motterlini, 2015).

L’irrazionalità della mente umana

Oscar Wilde scriveva “L’uomo è un animale razionale che perde sempre la pazienza quando gli viene chiesto di agire secondo i dettami della ragione”. A tal riguardo bisogna considerare, infatti, come le decisioni economiche riguardino anche sentimenti come paura, panico, onore, invidia, rimpianto, non soltanto il denaro in senso stretto. La teoria economica standard assume che gli individui siano interessati solo al proprio tornaconto personale e che non siano disposti a sacrificarlo per aiutare o danneggiare altre persone. L’evidenza empirica mostra invece che le persone sono interessate anche ai processi che conducono a dati risultati, come l’onestà o la sincerità, a ciò che accade agli altri, rancore o altruismo, e ai condizionamenti sociali come vergogna e senso di colpa.

Al centro delle più grandi crisi della storia, dalla “febbre dei tulipani” olandesi del 1637, un vero e proprio “delirio collettivo” nel quale erano le aspettative della crescita del prezzo dei fiori a determinarne il valore, e non il valore dei tulipani stesso a determinare il prezzo, alla crisi dei mutui subprimec’è sempre l’irrazionalità umana. Un’irrazionalità innescata dall’ottimistica aspettativa di guadagni prima, e dalla drammatica prospettiva di finire in povertà dopo. Le istituzioni finanziarie non riescono, infatti, a capire le bolle finanziarie, non sanno prevenirle e non sanno fronteggiarle. L’insieme degli investitori genera dunque una “bolla”, ma il comportamento dei singoli individui che entrano nel mercato è spesso razionale e può consentire un significativo guadagno. In molti comprano beni gonfiati dalle bolle, perché ci sarà sicuramente qualcuno ad acquistarli ad un prezzo più alto: bisogna solamente anticipare lo scoppio e uscire per tempo. Tuttavia, Vernon Smith ha osservato che i compratori non desistono neppure quando sanno con certezza che i rendimenti delle azioni declineranno inesorabilmente, credono che la bolla possa durare per sempre. Guala e Motterlini scrivono, in proposito, che “ogni investitore crede di essere più furbo degli altri, o di trovare qualcuno più stupido un attimo prima del disastro”. I compratori, infatti, scompaiono durante lo scoppio della bolla ma non si può prevedere quando ciò accadrà, come nota Vernon Smith. Così come non si può prevedere quando i compratori torneranno ad investire, separandosi dal loro denaro liquido. 

Il motivo per il quale siamo spinti a credere ai vari boom che si susseguono storicamente, risiede nel nostro cervello e nei meccanismi alla base delle scelte economiche. L’irrazionalità umana segue infatti percorsi precisi, è sistematica e può essere studiata scientificamente. Motterlini e Guala spiegano come la sola anticipazione di un guadagno attivi i “centri della ricompensa”, quelle aree viscerali del nostro cervello ricche di innervazioni dopaminergiche che regolano, ad esempio, il consumo di dolci, l’acquisto di oggetti di lusso ma anche il consumo di droghe e il sesso. Un’attivazione di queste aree può stravolgere la corretta percezione della relazione tra rischio e rendimento, facendo propendere per quest’ultimo. Il nostro cervello, inoltre, risponde all’anticipazione di una grossa vincita ma non all’aumentare o al diminuire della probabilità di ottenerla. Non risponde all’incertezza, quindi. L’anticipazione di un guadagno è processata automaticamente mentre la stima delle probabilità avviene solo successivamente in modo riflessivo e deliberato. Motterlini e Guala affermano, inoltre, che “perdere fa molto male”! Più male di quanto faccia piacere vincere una somma di pari dimensioni. Pertanto, più la situazione è incerta, ambigua e complessa, maggiore è la risposta istintiva ed emotiva in termini di ansia e paura. Infatti, la maggior parte delle persone evita il rischio dopo una serie di perdite finanziarie: è il dolore delle perdite subite a condizionare le decisioni future. Dopo lo scoppio di una bolla, ci vogliono anni per tornare sui livelli di rischio precedenti alla bolla stessa. Motterlini e Guala spiegano, quindi, come il nostro cervello non sappia adattarsi alle oscillazioni di Borsa e, pertanto, affidarsi ad esso per “battere” il mercato è poco saggio.

Lo studio delle cosiddette “variabili nascoste” della decisione umana è, quindi, tanto importante quanto lo studio delle variabili macroeconomiche classiche. Governi, banche centrali e istituzioni finanziarie hanno tutto l’interesse a integrare i risultati delle scienze cognitive nella teoria economica. Una delle applicazioni più importanti consiste infatti nel disegno di istituzioni e meccanismi economici in grado di aiutarci a prendere decisioni migliori, ovvero di evitare alcuni degli errori che siamo portati a compiere in modo prevedibile (Motterlini, Guala, 2015). Per evitare nuove crisi, è necessario, quindi, sviluppare la capacità di tornare a guardare il mondo vero, a osservare le scelte dei singoli nella loro fallacia, irrazionalità e mancanza di autocontrollo, discostandoci dalle teorie troppo perfette e, al tempo stesso, troppo lontane dalla realtà.


[1] Guala F., Motterlini M. (2015), Mente Mercati Decisioni, Egea, Milano.

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