La grande tegola dell’evasione e come provare a ridurla

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Articolo di Gabriele Recano, studente della Magistrale in Economia Aziendale, Università Roma Tre.

L’evasione è da moltissimo tempo un grave problema, soprattutto italiano. Le sue dimensioni sono mastodontiche e sembra che ogni azione per contrastarla sia inutile. Andiamo a scoprire qual è la situazione odierna e come realmente si possa agire per poterla ridurre il più possibile.

L’evasione è uno dei grandi macigni che bloccano la crescita italiana. Ogni libro che riguarda l’economia del nostro Paese ha sempre un capitolo o più paragrafi che parlano di questo male che ci affligge. Iniziamo a dare una dimensione al fenomeno: nel 2017 il totale evaso dai cittadini italiani ammontava a circa 108 mld di euro ovvero il 6,3% del PIL[1], mentre per il 2018 abbiamo solamente dei dati ancora incompleti che, però, ci segnalano una decrescita nelle componenti delle imposte per un totale di circa 5 mld di euro. Sono comunque numeri che fanno rabbrividire, ancor più se collegati alla stima del valore dell’economia non osservata, ovvero il valore derivante dalla somma di economia sommersa e illegale, pari a 211 mld di euro (11,9% del PIL).[2] Vediamo ora come si dividono le componenti. Nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del 2020, che riguarda il 2018, troviamo che le maggiori imposte evase sono l’IRPEF che ammonta a 31,6 miliardi, l’IVA per 33,3 mld, l’IRES con 8,9 mld e a seguire IRAP, IMU e le altre imposte e accise.

RELAZIONE SULL’ECONOMIA NON OSSERVATA E SULL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA 2020 – MEF

Altri dati che ci possono essere utili per capire la situazione sono quelli che dividono l’evasione per categorie lavorative e di imprese: i lavoratori autonomi evadono il 69,6% dell’Irpef che dovrebbero versare nelle casse dello Stato, i lavoratori dipendenti per contro solo il 4%.[3] Questo perché un lavoratore autonomo non è soggetto a trattenuta alla fonte e quindi ha più opportunità per poter evadere. Questo dato unito al fatto che circa il 25% totale di lavoratori fa parte della categoria degli autonomi (media UE 15%)[4], dà l’idea delle dimensioni del fenomeno.

L’ammontare pantagruelico di tasse ed imposte evase aumenta la pressione fiscale sugli effettivi contribuenti che arriva a sfiorare il 48%, superando di gran lunga la media della pressione fiscale dei paesi OCSE (35%) facendoci gareggiare alla pari della Francia.

Andando poi a vedere specificatamente i dati delle dichiarazioni Irpef ci si accorge da subito di una grande stortura: su 60.359.546 cittadini residenti al 31/12/2018, quelli che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, sono stati 41.372.851 in crescita di 161.515 dichiaranti rispetto all’anno prima e di 500.771 unità rispetto al 2016. Per contro, i contribuenti/versanti, cioè quelli che versano almeno 1 euro di IRPEF, sono 31.155.444, 482.578 in più rispetto al 2017.[5] Dai dati si evince che il 42% della popolazione paga circa il 91% di tutta l’IRPEF; il restante 58% ne paga solo l’8,98%. È il dato cruciale su cui riflettere quando si parla di evasione fiscale. il 48,38% delle persone non ha redditi, e quindi vive a carico di qualcuno: percentuale rilevante anche se in lieve diminuzione di circa 1 punto percentuale rispetto al 2017 (49,29%) e atipica per un Paese del G7. Se volessimo esprimere in estrema sintesi la situazione potremmo dire che: lo 0,10% dei contribuenti paga il 6,05% dell’IRPEF; lo 0,24% paga il 9,11%; l’1,22% paga il 19,80%; il 4,63% paga il 37,57%; il 13,07% paga il 58,95%; il 42,28% paga il 91,02%; di contro, il 43,89% dei contribuenti paga solo il 2,42% dell’intera IRPEF.[6]

OSSERVATORIO SULLA SPESA PUBBLICA E SULLE ENTRATE 2020 – Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

I dati delle dichiarazioni fiscali indicherebbero che gli italiani sono un popolo povero; se però analizziamo alcune spese e il possesso di determinati beni scopriamo che non è proprio così, anzi quanto dichiarato al fisco è in netta contraddizione con le spese e la ricchezza degli italiani. L’Italia è al primo posto in Europa per possesso di abitazioni, autoveicoli, telefoni, al secondo per animali da compagnia.

Secondo l’Istat sono oltre 17 milioni quelli che hanno giocato d’azzardo almeno una volta e 2,5 milioni quelli a rischio. Quello che rileva è che l’IRPEF totale vale 171,6 miliardi; mentre per il solo gioco d’azzardo legale e illegale gli italiani “investono” tra 127 e 147[7] miliardi (è il totale giocato al lordo delle vincite e delle imposte). Senza contare tutte le altre spese; per conoscere il futuro dai maghi e fattucchiere si spende di più di quello che si accantona per i fondi pensione, il che è tutto dire.

OSSERVATORIO SULLA SPESA PUBBLICA E SULLE ENTRATE 2020 – Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Un altro aiuto per comprendere la situazione reale del nostro Paese proviene dagli studi di settore, purtroppo abbandonati nel 2013. Questi lasciano intravedere le distorsioni strutturali nel rapporto tra gli italiani e il fisco, da cui si capisce che chi può evadere, molto probabilmente lo fa. Gli istituti di bellezza, segnalava il Tesoro, dichiaravano un reddito medio annuo di 7.200 euro, i bar 17.800 euro, i taxi 15.600 euro. I gioiellieri nel 2012 sostenevano di aver incassato in media 17 300 euro. Anche altri esercizi commerciali dichiaravano introiti annui inferiori allo stipendio di un impiegato: gli alberghi 18.300 euro, gli autosaloni 10.100, i parrucchieri 13.200, i noleggiatori di auto soltanto 5.300 euro. Alcune attività economiche operavano addirittura in perdita, almeno sulla base delle informazioni che comunicavano al fisco: sale da ballo, night club, centri per il benessere e stabilimenti termali. Numeri poco credibili.

Oltre tutto ciò altre cause dell’evasione fiscale sono dovute a:

  1.     LA NOSTRA STRUTTURA ECONOMICA

Siamo un paese con una buona fetta di lavoratori autonomi, che trovano più occasioni per poter evadere; siamo un paese di micro e piccole imprese che con obblighi d’informativa praticamente nulli e la quasi assenza di controlli si trovano in una posizione favorevole per perpetuare comportamenti evasivi, che ledono la concorrenza e le imprese sane; il contante è ancora molto diffuso (83% delle transazioni contro il 65% della media UE).

  • IL NOSTRO SISTEMA FISCALE FACILITA L’EVASIONE

Si evade perché le tasse sono troppo alte, soprattutto per i contribuenti effettivi e si hanno troppi adempimenti burocratici; guardando alla composizione delle entrate queste dovrebbero essere bilanciate verso un’imposizione su cose per le quali è più difficile evadere, come succede con l’IMU.

  1. DEBOLEZZA DEI CONTROLLI E DELLE MISURE PENALI

Si ha sia un insieme di debolezze strutturali nella gestione dei controlli sui contribuenti, come testimonia la sostanziale sovrapposizione delle funzioni tra Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza sia nell’assenza di grandi svantaggi e rischi nel praticare l’evasione, addirittura in certi casi avvantaggiante per es. con i condoni.

Stante così la situazione, è lecito chiedersi se sia possibile un margine di miglioramento oppure se ormai tutto sia perduto. Ovviamente no, ma le azioni da compiere sono molteplici e complesse.

Cosa si può fare

Sicuramente come prima mossa bisognerebbe abbandonare misure come i condoni che non garantiscono la credibilità del sistema e sono solamente provvedimenti-tampone introdotti con una logica di brevissimo respiro. Annullandoli si potrà disincentivare comportamenti opportunistici degli agenti economici che aspettano queste misure solo per vantaggio economico.

In secondo luogo, una diminuzione del contante in circolo potrà diminuire le occasioni di evasione, per l’ovvio tracciamento dati bancario.

Serve poi una riduzione della pressione fiscale, che come abbiamo visto è molto alta soprattutto calcolandola sugli effettivi contribuenti, finanziandola con tagli alla spesa improduttiva e con un ribilanciamento della composizione delle imposte, spostandole dal lavoro al patrimonio, come le case per rendere più difficile l’evasione.

Un altro importante punto è quello che riguarda i fattori culturali. Serve, non solo riguardo all’evasione fiscale, rafforzare il senso civico degli abitanti del nostro Paese e cercare di rendere più attrattive le istituzioni pubbliche, con una riforma che renda la Pubblica Amministrazione più efficiente e trasparente, facendo aumentare la fiducia verso lo Stato.

In chiusura volevo porre l’attenzione su una proposta che da qualche tempo viene vista come salvifica da alcuni studiosi sulla questione: il contrasto di interessi. Questo si sostanzia nel mettere in contrapposizione, appunto, gli interessi del compratore e del venditore di beni e servizi in una data transazione. Se per esempio dovessimo spendere 1000 euro di manutenzione con 22% IVA questa verrebbe a costarci 1220 euro. Solitamente si assiste ad uno sconto da parte del prestatore d’opera che fa aggirare il costo intorno ai 1000 euro con conseguente creazione di nero e IVA evasa. La proposta verte sul fatto che se si potesse dedurre quell’IVA immediatamente allora noi saremmo incentivati a richiedere regolare fattura con conseguente fuoriuscita dall’economia sommersa di quella transazione.

Fino a qui si potrebbe pensare che sia un’ottima proposta, ma purtroppo ha dei limiti. Una prima critica che si può muovere è che, comunque chi eroga la prestazione può applicare uno sconto maggiore rispetto al prezzo con IVA sottratta. In questo caso l’unico modo per escludere accordi tra acquirente e venditore diventa quindi quello di offrire una detrazione talmente alta da generare una perdita netta per lo Stato. Inoltre, si perderebbe tutto il gettito derivante dalle operazioni in chiaro, che prima generavano gettito. Insomma, non è una vera panacea come alcuni cercano di far credere, ma che magari combinata con altri provvedimenti come un sanzionamento certo e più duro, la creazione di una cultura contraria alla pratica evasiva e con le altre proposte sopra descritte, potrebbe far parte degli strumenti utili a migliorare la condizione attuale.

Qui si staglia la sfida per i policymakers, i quali devono capire di dover intraprendere una serie di riforme che il Paese necessita al fine di migliorare la condizione non solo attuale (Se dal 1980 l’evasione fosse stata di solo un punto percentuale di Pil più bassa, il nostro debito pubblico, tenendo conto del risparmio di interessi, sarebbe ora del 70-75 per cento del Pil, invece che di oltre il 133 % per cento, pre-pandemia), ma soprattutto futura per chi verrà dopo. Un cambiamento di paradigma è necessario.


[1] RELAZIONE SULL’ECONOMIA NON OSSERVATA E SULL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA 2020 – MEF

[2] L’ECONOMIA NON OSSERVATA NEI CONTI NAZIONALI | ANNI 2014

[3] I sette peccati capitali dell’economia italiana, C. Cottarelli, ed. Feltrinelli, 2018

[4] 7 scomode verità che nessuno vuole guardare in faccia sull’economia italiana, S. Feltri, ed. UTET, 2019

[5] Le scomode verità su tasse, pensioni, sanità, lavoro, A. Brambilla, ed. Solferino, 2020

[6] Le scomode verità su tasse, pensioni, sanità, lavoro, A. Brambilla, ed. Solferino, 2020

[7] Settima indagine conoscitiva sui dati 2018 e analisi comparativa degli ultimi undici anni di dichiarazione 2008-2018, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

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