La Bce e la transizione ecologica

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Simone del Rosso, studente in Economia degli Intermediari e dei Mercati finanziari @UniBa

A partire dal primo gennaio 2021, la Bce accetta green bonds con cedole annuali legate alla sostenibilità ambientale come collaterali per le operazioni di credito dell’Eurosistema e nell’ambito delle operazioni di quantitative easing. Le cedole devono essere legate a uno o più dei target ambientali stabiliti nella “Tassonomia europea delle attività sostenibili” e negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Si tratta di un intervento importante della Bce, nell’ottica di una maggiore incisività di Francoforte nel sostegno alla transizione ecologica, caposaldo del Next Generation EU e del Green Deal della Commissione europea. Negli ultimi anni si è sviluppato un dibattito inedito nel mondo accademico e istituzionale sul ruolo che possono giocare le banche centrali in materia di decarbonizzazione e green economy, nel rispetto dei loro mandati e della loro indipendenza. 

In genere le banche centrali svolgono quattro funzioni:

  1. emettono moneta;
  2. sostengono finanziariamente lo Stato;
  3. preservano la stabilità del sistema finanziario, svolgendo anche funzioni di vigilanza e regolamentazione delle banche;
  4. gestiscono la politica monetaria.

I principali obiettivi delle banche centrali dei Paesi industrializzati sono la stabilità dei prezzi e la crescita dell’output (Pil). Il mandato della Bce è il mantenimento della stabilità dei prezzi, ovvero la crescita dei prezzi ad un livello prossimo ma inferiore al 2% nel medio periodo. Tuttavia, il diritto dell’UE conferisce alla Bce anche il compito di concorrere alle politiche economiche generali dell’Unione, nel rispetto del mandato della stabilità dei prezzi. Ciò includerebbe l’obiettivo secondario di contribuire allo sviluppo sostenibile dell’Unione. D’altra parte, la Bce non ha un mandato esplicito in materia ambientale e non ha l’autorità per guidare le politiche dell’UE.

Le azioni della Bce devono essere conformi a due principi fondamentali:

  1. il principio di proporzionalità, ovvero limitate al perseguimento degli obiettivi statutari;
  2. il principio di neutralità, ossia devono essere conformi al principio di un’economia di mercato aperta e in regime di libera concorrenza, evitando di generare distorsioni nel mercato e favorire settori specifici.

Attualmente, è in corso il riesame della strategia di politica monetaria della Bce e si sta discutendo proprio del principio di proporzionalità e di un eventuale intervento monetario esplicito per contrastare il cambiamento climatico. Un intervento più incisivo, ad esempio, potrebbe essere la graduale e progressiva riduzione degli acquisti di titoli di società operanti in settori inquinanti e basati sui combustibili fossili. Una misura del genere accompagnerebbe gli investimenti verdi, sia pubblici che privati, incrementando l’efficacia e la credibilità della politica europea.

Ma alla base di un maggior interventismo dell’Eurotower in materia ambientale ci sono anche delle motivazioni affini allo stesso obiettivo inflazionistico. Infatti, in primo luogo, il prezzo dell’anidride carbonica non riflette equamente i costi sociali e ambientali legati all’uso di combustibili fossili; in secondo luogo, il cambiamento climatico può incidere direttamente sull’inflazione quando, ad esempio, una calamità naturale provoca la distruzione dei raccolti, determinando un aumento dei prezzi di prodotti alimentari; le perdite derivanti dai disastri naturali possono ostacolare l’erogazione del credito e inficiare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria.

Cosa potrebbe fare la Bce

Nell’occasional paper “Banche centrali, rischi climatici e finanza sostenibile” pubblicato da Banca d’Italia (marzo 2021), si afferma che una banca centrale può includere la gestione dei rischi climatici nelle proprie attività con diversi gradi di intensità. Può emanare linee guida per informare e sensibilizzare i banchieri, gli investitori e gli altri stakeholders o contribuire allo sviluppo del mercato finanziario, stabilendo obblighi di informativa o incoraggiando l’emissione e la negoziazione di green bonds. Inoltre, in qualità di autorità di vigilanza può manifestare le proprie aspettative nei confronti degli intermediari in termini di gestione e disclosure dei rischi climatici.

Le banche centrali possono valutare la stabilità del singolo intermediario e dell’intero sistema finanziario attraverso stress test “climatici” per individuare i maggiori fattori di rischio e i canali di trasmissione con cui i rischi si propagano. Il paper riporta che diverse banche centrali hanno condotto o stanno elaborando test dedicati, spesso riferendosi agli scenari delineati dal NGFS (The Network of Central Banks and Supervisors for Greening the Financial System, di cui fa parte la Bce), tra cui la Banca d’Olanda, l’Autorité de contrôle prudentiel et de résolution e la Bank of England.

Le banche centrali, in qualità di investitori, possono inoltre integrare nella loro strategia di gestione del portafoglio considerazioni di fattori ambientali, agendo da esempio per il mercato, e pubblicare le proprie esposizioni e strategie di gestione dei rischi climatici.

Un altro aspetto che potrebbe indurre la Bce ad intervenire in modo diretto per contrastare il cambiamento climatico deriva dal fatto che l’attuale assetto lega il bilancio della banca a determinati settori industriali, impedendo condizioni favorevoli alla transizione climatica di intermediari finanziari e imprese. Infatti, gran parte delle garanzie e dei titoli di emittenti privati detenuti dalle banche centrali riguardano società dei settori degli idrocarburi (automotive e trasporti), capital intensive e caratterizzati da maggiori livelli di emissioni.

Gli interventi monetari in questi settori riducono il costo del capitale fornendo al mercato un segnale che disincentiva la transizione ecologica.

Sostanzialmente, gli interventi diretti della Bce in materia ambientale sono sottoposti alla spada di Damocle del principio di neutralità.  Tuttavia, questo caposaldo potrebbe essere temperato e condizionato al perseguimento di obiettivi coerenti e condivisi con Commissione Europea, Parlamento Europeo e Consiglio. Inoltre, se i prezzi degli strumenti obbligazionari non riflettono adeguatamente i rischi climatici, il principio di neutralità espone la banca centrale alla volatilità degli aggiustamenti dei valori delle attività finanziarie indotti dal processo di transizione. È necessario, dunque, che nelle operazioni di politica monetaria venga dato un trattamento privilegiato agli strumenti emessi da soggetti che operano in settori resilienti ai cambiamenti climatici.

Il Green Deal europeo è un progetto ambizioso e restano incognite sull’effettiva capacità delle istituzioni globali di cooperare per recupere il tempo perduto. Secondo la Banca mondiale per mitigare i rischi più catastrofici del cambiamento climatico servirebbero investimenti per 90 trilioni di dollari entro il 2030, più dell’intero Pil mondiale del 2019. Una sfida senza precedenti e in salita, nonostante l’esplosione dei green bonds nel settore privato. Le banche centrali, in primis la Bce, non possono sottrarsi ad esercitare un ruolo centrale nello sviluppo di mercati finanziari più sostenibili ed etici, a sostegno di una transizione che sia davvero verde per l’economia reale.

Fonti:

https://www.ecb.europa.eu/ecb/climate/html/index.it.html

https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2020/html/ecb.sp200717~1556b0f988.it.html

https://www.ecb.europa.eu/press/blog/date/2021/html/ecb.blog210213~7e26af8606.it.html

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2021-0608/QEF_608_21_ENG.pdf?language_id=1

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