Il mercato del lavoro: croce e delizia tutta italiana

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-Articolo scritto da Giacomo Gravino, dottore magistrale in Economia e Commercio, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

Cos’è il mercato del lavoro

È giunto il momento di fare un po’ di chiarezza su tema caldo per il nostro paese da decenni.

Con “mercato del lavoro” si intende l’insieme di meccanismi che regolano l’incontro tra la domanda di lavoro da parte delle imprese e l’offerta di lavoro costituita dalle persone disposte ad avere un impiego. Ma non solo, concorre a determinare l’equilibrio in questo mercato anche la determinazione dei prezzi da parte delle imprese, che dipendono dal salario corrisposto ai lavoratori.

Quali sono i principali protagonisti nell’analisi del mercato del lavoro?

Popolazione Attiva (Pop. Attiva): persone in età lavorativa (tra i 15 ed i 64 anni) ritenute idonee a svolgere impieghi civili.

  • Disoccupati (U): persone non occupate ma in cerca di un impiego.
  • Occupati (N): persone occupate;
  • Forza Lavoro (FL): somma di persone occupate e disoccupate, ovvero definibile come
  • l’insieme di persone interessate ad avere un impiego;
  • Tasso di partecipazione: rapporto tra forza lavoro e popolazione attiva;
  • Tasso di disoccupazione (u): rapporto tra disoccupati e forza lavoro;

la domanda di lavoro delle imprese è una domanda derivata, le imprese quindi determinano sia la quantità di prodotto desiderato (che massimizzi i profitti), sia la quantità di lavoro, le imprese utilizzeranno un lavoratore aggiuntivo se questo fa crescere i profitti.

L’offerta di lavoro invece, è determinata dalla quantità di tempo che le persone decidono di dedicare a questa attività, ed è relativa alle preferenze individuali.

Quindi, la decisione se lavorare o meno deve considerare il costo opportunità del tempo libero, cioè il salario che si sarebbe percepito lavorando invece di godere del tempo libero, il salario è quindi proporzionale alla produttività del lavoro.

il mercato del lavoro, per sua natura, non è mai in equilibrio, ecco perché spesso interviene lo stato nei meccanismi di quest’ultimo, infatti, la disoccupazione di equilibrio è influenzata dal modo in cui lo Stato regola il mercato del lavoro e gli altri mercati. 

Il mercato del lavoro è ovviamente legato a quello dei beni e servizi, ecco perché la disoccupazione potrebbe essere più alta della disoccupazione di equilibrio come conseguenza di una diminuzione della domanda aggregata per beni e servizi.

Nel caso in cui la disoccupazione sia al di sopra del suo valore di equilibrio a causa della insufficiente domanda aggregata, lo Stato e la Banca Centrale possono utilizzare la politica fiscale e la politica monetaria per ridurla. Questa alternativa è solitamente più efficace rispetto al meccanismo di riequilibrio interno del mercato, basato sulla riduzione dei salari e dei prezzi da parte delle imprese e sul conseguente aumento della domanda da parte di famiglie e imprese.

Lo skill mismatch

Una questione di non poca rilevanza per la nostra nazione è lo skill mismatch, ovvero una mancata corrispondenza tra le competenze ricercate dai datori di lavoro e quelle possedute dai singoli individui. Si crea quindi una discrepanza tra competenze e posti di lavoro, ciò significa che l’istruzione e la formazione non forniscono le competenze richieste nel mercato del lavoro o che l’economia non crea posti di lavoro che corrispondono alle competenze degli individui.

Ci sono diverse tipologie di skills mismatch:

Over o under skilling, quando una persona è o altamente qualificata o poco qualificata. Questo accade quando il campo di istruzione non corrisponde al campo di occupazione.

Skills obsolescence, spesso accompagna la digitalizzazione e il progresso tecnologico, ma può anche verificarsi quando le competenze diventano obsolete nel tempo. Entrambi gli scenari possono essere il risultato dell’evoluzione nel mercato del lavoro.

Co-exist mismatch. Quando diversi tipi di mancata corrispondenza coesistono contemporaneamente: ad esempio, una persona può essere contemporaneamente sovra qualificata e sotto qualificata.

Le conseguenze del disallineamento delle competenze possono raggiungere tutti i livelli del mercato del lavoro:

A livello individuale soprattutto per quello che riguarda le persone altamente qualificate, lo skills mismatch porta a delle discrepanze salariali che influiscono negativamente sul grado di soddisfazione lavorativa e personale.

Per le aziende, invece, il disallineamento delle competenze ha conseguenze negative in relazione alla produttività e alla competitività. Questo ha enormi conseguenze sulla capacità aziendale di implementare nuovi prodotti, servizi o tecnologie. Inoltre, lo skills mismatch all’interno di un contesto aziendale può causare un maggiore ricambio del personale e un’organizzazione del lavoro non ottimale. Pertanto, la mancata corrispondenza delle competenze porta alla perdita di profitti e mercati.

Per i paesi e le regioni lo skills mismatch è una delle cause principali della disoccupazione e può influenzare la competitività e l’attrattiva per gli investitori. Questo porta ad una significativa perdita di opportunità nel percorso verso l’ottimizzazione della produttività e la creazione di posti di lavoro. Le risorse pubbliche o private investono nella formazione partendo dal presupposto che le qualifiche conseguite produrranno risultati positivi in termini di inserimento lavorativo o retribuzione. 

Quando è presente un disallineamento delle competenze, queste aspettative spesso non si concretizzano, portando a ritorni sugli investimenti inferiori alle attese.

Una delle principali cause dello skills mismatch è riconducibile alla digital transformation, la quale ha determinato un drastico cambio di competenze all’interno del mondo del lavoro reso ancora più rapido dallo scoppio della crisi sanitaria legata al coronavirus. Infatti, negli ultimi decenni in un mondo altamente interconnesso e sempre più digitale, i profili più richiesti nel mercato del lavoro sono diventati quelli che hanno in possesso le competenze necessarie per rimanere al passo con la trasformazione digitale, come il data analyst, data protection officer, cyber security expert etc. Tuttavia, ad oggi, come emerge da un report di Unioncamere, in Italia siamo agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda le infrastrutture digitali e il capitale umano preparato alla sfida digitale. Circa il 38% di offerte di lavoro nel campo dello sviluppo di software, con picchi del 65% per ingegneri ed esperti di intelligenza artificiale, non trova profili e oltre il 3% di queste figure professionali vengono importate dall’estero. 

La burocrazia e l’eccessiva onerosità del mercato del lavoro

Successivo al problema di incontro tra offerta e domanda di lavoro, dovuto al gap di competenze esiste un’altra figura che “pressa” il mercato del lavoro in Italia, la burocrazia.

Un’eccessiva burocrazia comporta dei costi non indifferenti, sia pure per i vari adempimenti da assolvere e le modulistiche da compilare, infatti, i contratti nel mercato del lavoro italiano sono sempre stati appesantiti dal peso burocratico.

A livello contrattuale è da poco tempo che il nostro paese ha puntato ad una esemplificazione dei contratti lavorativi, ma per quanto riguarda il lavoro autonomo la situazione è diversa.

La burocrazia, l’incertezza del futuro e il ritardo nei pagamenti “soffocano” il lavoro autonomo nel nostro paese. Eppure, i liberi professionisti in Italia sono più di cinque milioni e rappresentano il 21,7%[1] della forza lavoro. Questo dato emerge da un’indagine svolta dalla Fondazione studi dei Consulenti del lavoro che ha analizzato il lavoro autonomo nel Belpaese e lo ha messo a confronto con il resto d’Europa.

Ed è ora di ridurre il costo del lavoro! In Italia un dipendente costa quasi il doppio della sua retribuzione per un imprenditore!

il problema della disoccupazione giovanile

Stando all’ultimo rapporto ISTAT, il tasso di disoccupazione giovanile rilevato nel mese di settembre è pari al 29,7% registrando una riduzione di 1,7 punti rispetto al mese precedente. Questa diminuzione però, non dipende da un aumento dell’occupazione, ma da un aumento della cosiddetta “inattività”.[2]

Secondo i dati dell’OECD aggiornati al 2019, per la fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni, la percentuale di NEET in Italia è pari al 23,67%. Il dato peggiore in Europa, dove la media si attesta intorno 12,75%. Dal grafico è intuibile un lieve miglioramento ma siamo tra i più bassi in Europa. Con la recente pandemia i dati sono ovviamente in peggioramento dovuto agli shock di domanda e non solo per l’emergenza sanitaria.

Aspetti conclusivi

Quindi è possibile affermare che il mercato del lavoro italiano che è influenzato da più variabili, che abbiamo provato in modo semplificativo a spiegarvi, ha bisogno di una riforma strutturale su più fronti: in assoluto si auspica uno snellimento della burocrazia.

E’ fondamentale un miglior collegamento tra l’apparato dell’istruzione col mondo del lavoro, favorendo in modo sostanziale l’ingresso nel mondo del lavoro dando un riscontro pratico a quello teorico appreso in classe.

Per consentire al nostro paese di camminare parallelamente a tutta l’UE e non solo è necessario intraprendere un processo di digitalizzazione del sistema scolastico italiano, cosicché i professionisti del futuro del nostro paese potranno essere all’avanguardia.

Questa spesa pubblica in c/capitale sarà finalmente utilizzata per l’istruzione e la ricerca? O dobbiamo continuare a finanziare solo le pensioni?


[1] https://www.ilsole24ore.com/art/la-troppa-burocrazia-mette-crisi-lavoro-autonomo-ACYRpny?refresh_ce=1

[2] https://financecue.it/disoccupazione-giovanile-neet-covid-occupazione/21891/#:~:text=Secondo%20i%20dati%20dell’OECD,attesta%20intorno%2012%2C75%25.

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