Gettare le basi per lo sviluppo economico: il capitale umano

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– Articolo di Nicola Crescimbeni – studente in Scienze Economiche e Finanziarie, UNIVPM

Nell’opinione pubblica è assai ricorrente il dibattito che riguarda gli interventi pubblici da sostenere affinché possa essere favorito lo sviluppo del sistema economico. Molteplici sono le tematiche trattate, purtroppo sovente in maniera superficiale: riduzione della pressione fiscale, lotta alla disoccupazione, riforma della giustizia, riordino dell’apparato burocratico e così via. Troppe volte la discussione non comprende uno dei driver fondamentali per il perseguimento della crescita economica: il sostegno agli investimenti, specialmente in quelli riguardanti il capitale umano.

Capitale Umano: tratti distintivi

Analizziamo il problema alla radice. Per capitale umano si intende l’insieme delle capacità, conoscenze, competenze e abilità professionali possedute dall’individuo e acquisite sia con l’istruzione che con la formazione e l’esperienza professionale[1]. Parliamo dunque di elementi intangibili che sono intrinseci al soggetto di riferimento e dunque fortemente legati alla prestazione da egli fornita. L’importanza del capitale umano è legata prevalentemente alla relazione diretta che intercorre tra il driver in questione e la produttività dell’azienda (o del sistema economico, in base all’oggetto di analisi) e dunque con effetti sulla capacità di  raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il concetto risulta assai pratico: un lavoratore con maggiori conoscenze e competenze riesce ad essere più produttivo in azienda, influenzando positivamente, ad esempio, la produzione e di riflesso i risultati aziendali. Sarebbe erroneo pensare però che basti investire solamente in politiche favorevoli allo sviluppo del capitale umano per agevolare il raggiungimento della crescita economica. Infatti un adeguato set di conoscenze professionali e di abilità della forza lavoro deve essere necessariamente accompagnato dalla presenza di infrastrutture fisiche che presentino un congruo grado tecnologico. Esiste perciò un forte connubio tra il già citato capitale umano e il capitale fisico.

Risulta perciò evidente come l’investimento nel capitale, sia umano che fisico, sia imprescindibile per la crescita economica.  Negli ultimi decenni però fattori esogeni, come la globalizzazione e il rapido sviluppo tecnologico, hanno consentito un aumento piuttosto repentino del valore associato al capitale fisico, tale per cui il sostegno pubblico agli investimenti in beni capitali sia importante, ma non fondamentale. Ciò non può dirsi allo stessa modo per il capitale umano che è cresciuto anch’esso recentemente ma con ritmi assai più blandi. Per questa serie di motivi il focus principale della classe dirigente dovrebbe essere l’implementazione di politiche pubbliche che agevolino lo sviluppo del capitale umano.

Come sostenere la crescita del capitale umano

Siamo di fronte al nodo centrale del problema: come favorire l’implementazione del capitale umano? La domanda non ha risposte univoche e la trattazione non è banale. La letteratura economica degli anni Ottanta si è occupata di tale questione in modo eterogeneo: alcune teorie prediligono la cosiddetta “istruzione formale” presso la scuola e l’università; altre considerano importanti anche i fattori legati all’addestramento professionale nella propria sede di lavoro (si parla di learning by doing) e “all’istruzione informale”, intesa come bagaglio di conoscenze e competenze sviluppate nel tempo libero mediante, ad esempio, attività di lettura, di informazione e  viaggi. Al di là delle correnti di pensiero differenti, è evidente come la formazione del capitale umano e il suo sviluppo siano strettamente relazionati al reddito. Infatti istruirsi e formarsi comporta necessariamente delle spese, di natura privata o pubblica, e l’ammontare di queste ultime di riflesso è legato indissolubilmente dalla propria capacità reddituale. Insomma, in presenza di redditi più elevati è più probabile constatare un maggior livello di capitale umano e viceversa. In realtà ciò che conta realmente è la quota di reddito destinata alla formazione del capitale umano e l’efficacia delle politiche intraprese.

Il canale principale per l’implementazione del bagaglio di conoscenze e competenze della forza lavoro futura resta in primis quello della già citata istruzione formale. Sostenere i settori della scuola, dell’università e della ricerca risulta di gran lunga la politica di investimento pubblico più percorribile, sia per motivi di facilità gestionale che per gli effetti economico-sociali benevoli di medio-lungo periodo. L’imperativo dovrebbe essere quello di destinare risorse alla digitalizzazione dei processi educativi, all’apprendimento delle lingue straniere mediante viaggi studio o stage all’estero, alla formazione costante del personale docente, soprattutto in un’ottica di forte dinamicità dell’ambiente esterno a cui apparteniamo, all’estensione delle borse di studio destinate agli studenti particolarmente meritevoli. Non può essere poi tralasciato il tanto agognato obiettivo di un apprendimento strettamente legato al mercato del lavoro; si tratta dunque di rimuovere quelle frizioni esistenti nel periodo che va dal compimento del proprio percorso di studi a quello dell’ingresso nel mondo della professione, che danno luogo ai fenomeni dell’alta disoccupazione giovanile e della cosiddetta “fuga dei cervelli”. Insomma si tratta di dare i giusti strumenti ai nostri studenti per potersi formare e poi fornire loro un canale  di trasmissione verso l’occupazione. Il nostro paese necessita inoltre di un forte investimento nell’arte, nel teatro e in tutto ciò che riguarda la cultura. Il popolo italiano infatti presenta il più alto grado di analfabetismo funzionale in Europa (pari al 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni), secondo soltanto alla Turchia (47%)[2]. Alla base del successo economico di uno Stato, c’è sempre la presenza di una forte struttura sociale istruita, che getta le basi per il futuro cambiamento.

La spesa per istruzione dell’Italia rispetto all’UE

Come precedentemente osservato, la quota di risorse impiegate sul reddito per l’implementazione del capitale umano è un indice molto importante per misurare la direzione intrapresa da uno stato in termini di crescita economica di medio-lungo periodo. Un indicatore molto importante a riguardo è quello della spesa per la pubblica istruzione. Analizziamo la situazione italiana. Come certifica l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani[3], nel 2017 la spesa italiana per la pubblica istruzione ammontava a 66 miliardi di euro, valore leggermente inferiore alla spesa pagata per gli interessi sul debito pubblico. Ciò certifica al contempo una situazione di indebitamento eccessivo verso i mercati e una smisurata politica di austerità nei confronti del settore dell’istruzione. Quest’ultima affermazione viene confermata dai dati Eurostat che mostrano come l’Italia sia nelle ultime posizioni in Europa per spesa pubblica in istruzione rispetto al PIL (valore pari al 3,8% nel 2017), a fronte di una media europea del 4,6%. Il bilancio negativo si aggrava ulteriormente se andiamo a considerare l’andamento negli anni della spesa per istruzione. Dal 2007, la spesa per istruzione sulla  spesa pubblica totale è scesa infatti di circa il 2%, molto di più rispetto alla media UE, che presenta anch’essa un trend negativo, ma di misura ridotta (dal 10,6% al 10,2%).  Ciò significa che il divario nei confronti dell’UE, per quanto concerne l’ammontare di risorse destinate all’educazione e alla formazione, si è allargato rispetto ai livelli pre-crisi. Spiegazione di ciò potrebbe essere un’eccessiva politica di austerità che ha colpito i servizi essenziali come istruzione e sanità, adottata dall’Italia (ma anche da altri paesi UE fortemente indebitati) per combattere la crisi dei debiti sovrani manifestatasi nel 2012.

@redazione


[1] http://www.treccani.it/enciclopedia/capitale-umano_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

[2] https://asnor.it/it-schede-39-italia_sette_adulti_su_dieci_soffrono_di_analfabetismo_funzionale

[3] https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-spesa-per-la-pubblica-istruzione

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