Atlante: il fondo salva-banche

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Articolo di Daniele Trevisan, Junior Analyst

Il crescente ammontare di crediti deteriorati nel settore bancario e la necessità di ricapitalizzare gli intermediari italiani sono stati, per lungo tempo, al centro del dibattito di accademici e operatori del settore. Tra le soluzioni messe in atto spicca il c.d. “Fondo Atlante”, costituito nel 2016 ed ancora operante.

Negli ultimi anni, vista la necessità di una drastica riduzione dello stock di crediti deteriorati presenti nel sistema bancario, si è ravvisata l’opportunità di avvalersi dei fondi di investimento, la cui formula è in grado di coinvolgere un ampio numero di appartenenti al settore e focalizzare il proprio operato in una logica di gestione e ripartizione del rischio condivisa. L’opportunità in questione si presentò successivamente alle crisi della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, alle quali ebbe seguito, tra i vari interventi, la costituzione del “Fondo Atlante”. Si tratta di un fondo di investimento riservato ad investitori professionali, le cui quote sono distribuite tra diverse tipologie di operatori di mercato (tra cui: banche, assicurazioni, fondazioni bancarie, casse di previdenza) e Cassa Depositi e Prestiti e la cui gestione fu affidata dapprima a Quaestio Capital Management Sgr, e successivamente a DeA Capital S.p.A.. Lo scopo del Fondo Atlante è la ricapitalizzazione delle banche in crisi e l’acquisto di crediti deteriorati dal mercato, a questo fine esso raccolse 4,25 miliardi di euro da 67 investitori[1].

Gli obiettivi del “Fondo Atlante”

La costituzione del Fondo Atlante e la decisione di affidarne la gestione ad una Sgr già esistente derivarono dalla necessità di creare, il più velocemente possibile, una struttura di salvataggio ai fini di un aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza e di intervenire da un punto di vista gestionale sulle attività dell’istituto. Peculiare è, infatti, il potere del consiglio di amministrazione della Sgr di determinare la governance delle banche presenti nel portafoglio. Con riferimento agli NPLs, l’investimento non avviene per mezzo di conferimenti, bensì attraverso la sottoscrizione di tranches del portafoglio (in particolare junior e mezzanine) di società veicolo costituite per l’acquisto di crediti deteriorati e per le successive operazioni di cartolarizzazione. In questo senso il fondo opera selezionando le società che ritiene più valide dal punto di vista del rendimento. Tale strategia ha come scopo l’eliminazione dal bilancio delle banche delle esposizioni deteriorate, le quali verrebbero difficilmente considerate dagli investitori per via del loro elevato grado di rischio, al fine di consentire lo sviluppo di un mercato secondario più efficiente e la riduzione del c.d. pricing gap, ovvero la differenza tra il valore degli attivi iscritti nel bilancio delle banche e il prezzo offerto dagli investitori

per l’acquisto degli stessi che, se eccessivamente elevata, rischia di limitare l’efficacia delle soluzioni proposte. Il fondo fu accolto con favore dalla Banca d’Italia e dalle autorità politiche, secondo le quali «il Fondo Atlante funzionerà come un “backup”, una rete di sicurezza, per le banche italiane»[2], vedendo in esso una risposta alle turbolenze di mercato, grazie, soprattutto, alla possibilità per gli intermediari di cedere gli NPLs ad un prezzo target pari al 32% del valore nominale del credito iscritto a bilancio[3].

Le possibili criticità del “Fondo Atlante”

Tuttavia, esso non può essere considerato privo di fattori critici. Innanzitutto, è necessario sottolineare come l’intento di evitare di sottoporre alla procedura di risoluzione gli istituti nominati, unito alla prospettiva di eliminazione dei crediti più dubbi dal bilancio degli intermediari, sia prevalso su valutazioni di altro genere. In particolare, ci si riferisce all’acquisizione di quote del fondo da parte di enti creditizi che non sono annoverati tra i più virtuosi nel settore bancario italiano. Sotto altro profilo, inoltre, risulta necessario sottolineare come detto intervento si possa considerare come uno spostamento di mezzi finanziari da alcune banche ad altre. L’operatività del fondo, infatti, se nel breve periodo consente di evitare la procedura di risoluzione per gli istituti creditizi, nel lungo presenta un rischio di contagio “sistemico” anche per gli intermediari partecipanti più solidi. La stessa agenzia di rating statunitense Moody’s ha evidenziato qualche perplessità nei confronti del Fondo Atlante, legata, soprattutto, al possibile impatto negativo sul merito di credito delle banche partecipanti al patrimonio, precisando che tale impatto «sarebbe generato dal fatto che il fondo sottoscriverà azioni di istituti a rischio risoluzione e dall’acquisizione di strumenti junior emessi a fronte di sofferente per le quali non esiste mercato»[1]. Ulteriore criticità riguarda l’esaurimento della provvista del fondo, utilizzata interamente per far fronte agli aumenti di capitale degli intermediari bancari, che rese necessaria l’istituzione, qualche mese dopo, di “Fondo Atlante II”, il quale è demandato unicamente alla sottoscrizione di titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione dei crediti deteriorati.

In conclusione, la soluzione esaminata finora, pur andando incontro alla necessità di patrimonializzazione delle banche, non può essere considerata esaustiva ai fini del recupero della stabilità degli istituti creditizi appartenenti al settore finanziario in Italia. In tal senso si è espresso Mario Draghi, il quale, riconoscendo la validità e i limiti dell’iniziativa, ha affermato come il Fondo Atlante sia «un piccolo passo nella giusta direzione».


[1] M. L. DI BATTISTA, L. NIERI, Il Fondo Atlante: un piccolo passo per la soluzione al problema dei crediti deteriorati (e non solo), in Osservatorio Monetario, 2016, pp. 38 ss.  

[2] R. BOCCIARELLI, Padoan: da Atlante effetto-leva da 50 miliardi, 15 aprile 2016, consultabile al sito: https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-04-15/padoan-atlante-effetto-leva-50-miliardi-070754.shtml?uuid=ACvkIG8C.

[3] E. BOLOGNESI, C. COMPAGNO, M. GALDIOLO, S. MIANI, La gestione dei crediti deteriorati: un confronto tra cessione e cartolarizzazione del portafoglio, in Bancaria, 2017, n. 2, pp. 42 ss.

[4] F. CAPRIGLIONE, Una cura inadeguata per i mali del sistema bancario italiano: il Fondo Atlante, in Diritto Bancario.it, 3 maggio 2016, pp. 3 ss. Consultabile al sito: http://www.dirittobancario.it/sites/default/files/allegati/capriglione_f._una_cura_inadeguata_per_i_mali_del_sistema_bancario_italiano_il_fondo_atlante_2016.pdf.

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