Covid-19: decrescita economica in Italia e come lo stato potrebbe sostenere i redditi senza creare debito.

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– Articolo scritto da: Giuseppe Marchese, studente laureando in Economia Aziendale presso l’Università di Catania

L’emergenza sanitaria del coronavirus, lo sappiamo, si è ormai tramutata, già da quale mese, in una crisi economica a livello globale come poche nella storia passata. È stata addirittura paragonata alla Grande Recessione del 1929, e ciò è confermato dalla recente analisi della Commissione europea sul PIL dei paesi europei, la quale stima un crollo del solo PIL italiano dell’11%, dato peggiore a livello europeo. Ma vediamo, brevemente, i motivi per i quali tale stima è più che realistica.

1. Consumi e risparmi dei cittadini.

Il lockdown delle attività produttive e commerciali ha causato, in tutta Italia, il blocco della maggior parte dei mercati, specialmente quelli dell’automobilismo e dei servizi, ad eccezione della GDO e delle farmacie, per i quali si è registrato un notevole aumento delle vendite e dei prezzi dei prodotti, ovviamente dovuto alla necessità delle famiglie di sostentarsi ed alla preoccupazione di contrarre il virus, il che li ha portato ad acquistare ingenti scorte alimentari e di medicinali. Al contrario, i mercati maggiormente colpiti hanno subìto l’integrale blocco delle vendite. Di conseguenza, le imprese hanno bloccato la produzione, portandole sia all’indebitamento, dovuto alle spese fisse comunque da sostenere, e sia a richiedere allo stato milioni di ore di Cassa integrazione. Questo ammortizzatore sociale, però, non ha pienamente compensato gli stipendi percepiti dai lavoratori: difatti, la Cassa integrazione ordinaria copre solamente l’80% dello stipendio, che per gli occupati italiani è già basso di suo, ed ancor meno quella in deroga. Senza, inoltre, considerare i notevoli ritardi nei pagamenti e che, ad oggi, non sono ancora stati percepiti dai dipendenti, relativamente ai mesi di maggio e giugno 2020. Copertura parziale e ritardi, hanno causato una diminuzione sostanziale dei risparmi pregressi, per le famiglie che ne disponevano, e un indebitamento per le famiglie che si sono ritrovate senza risparmi in tasca e con uno stipendio quasi dimezzato.

Perciò, secondo lo studio condotto dal comitato Edufin, se prima dell’emergenza, le famiglie che non riuscivano ad arrivare alla fine del mese erano il 46%, adesso, e fino alla fine dell’emergenza, il 58% degli italiani ha dichiarato di non riuscire a sostentarsi autonomamente per tutto il mese. Più del 30% delle famiglie (quindi 3 su 10), avrebbe difficoltà ad affrontare una spesa imprevista per un importo pari a 2 mila euro, come ad esempio la riparazione dell’auto, l’acquisto necessario di un elettrodomestico, una spesa medica, e simili. A subire maggiormente questa difficoltà sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni e i residenti al sud e nelle isole (da sempre svantaggiati, per molteplici motivi, rispetto ai cittadini del nord).[1]

2. Indebitamento delle imprese.

Come detto nello scorso paragrafo, anche per le imprese le cose non volgono per il meglio. L’indebitamento dovuto al blocco delle vendite ha segnato un profondo rosso nei loro bilancio, mettendo in forte repentaglio la tenuta finanziaria e reddituale, oltreché patrimoniale, delle imprese. Lo conferma la chiusura di numerosi punti vendita in tutta Italia: la nota catena internazionale di abbigliamento H&M ne ha chiusi 7, l’azienda calzaturiera Scarpe&Scarpe ha addirittura presentato l’istanza di concordato preventivo (fallimento), la maggior parte degli hotel di tutta Italia sono tutt’oggi chiusi. È ben comprensibile, quindi, che ciò ha già provocato e provocherà, dopo la fine del blocco dei licenziamenti, la perdita di tantissimi posti di lavoro: già ne sono stati persi quasi mezzo milione e, secondo l’Employment Outlook dell’OCSE, saranno 1,5 milioni i posti di lavoro persi nel 2020, fermo restando che i contagi continuino a diminuire.[2]

Questo causerà, ricollegandoci allo scorso paragrafo, un ulteriore decrescita dei consumi, anche per gli anni avvenire, che rallenterà notevolmente la ripresa economica e, di conseguenza, influenzerà negativamente le stime di crescita del PIL.

3. Come può, lo stato, sostenere l’economia senza creare debito futuro.

Viste le cause della crisi economica, vediamo adesso come può, il governo, evitare il collasso della nostra debole economia. Fermo restando che lo stato deve necessariamente effettuare trasferimenti ai privati, per sostenere i loro redditi, tanti si sono posti la seguente domanda: non può lo stato stampare e regalare denaro a tutti? Se fossimo nel cartone animato Disney di zio paperone, allora la risposta sarebbe stata affermativa. Purtroppo, nella realtà la questione è molto più seria, e pertanto va ben analizzata per capire pro e contro di una politica monetaria simile. Si, perché anche distribuire soldi a tutti, è uno strumento di politica monetaria. E precisamente, questo strumento si chiama Helicopter Money, il cui nome, coniato dal noto economista Friedman, ricorda, per l’appunto, denaro gettato da un elicottero. Ma vediamo quali effetti ciò apporta all’economia.

Analizzando le curve di domanda ed offerta di moneta (cosiddetto mercato dei fondi), possiamo notare che, immettendo moneta all’interno del sistema, l’offerta di denaro aumenta (trasla verso destra), facendo scorrere lungo la curva di domanda il punto di equilibrio. Questo equilibrio denota il tasso d’interesse di mercato, al quale avvengono gli scambi di denaro (il prezzo vero e proprio del denaro). Diminuendo il tasso, nel mercato dei beni (dove si incontrano le curve del risparmio e degli investimenti) avviene un aumento sia degli investimenti, la cui curva trasla verso destra (variazione esogena), che dei risparmi, che aumentano lungo la curva, determinando un aumento generale della quantità di moneta scambiata, dovuto proprio ad un minor costo del denaro. Tale aumento, di conseguenza, farà aumentare il PIL, grazie ai maggiori investimenti, che genererà un aumento dell’occupazione e, quindi, dei consumi, oltreché dei risparmi privati. Fin qui tutto apposto, se non fosse che tutto ciò creerebbe una crescita sproporzionata dell’inflazione, cioè dei prezzi al consumo, a causa proprio delle conseguenze viste finora.

Quindi sembrerebbe che un tale strumento sia inutilizzabile. Però, può venirci in aiuto una teoria economica, elaborata nel secolo scorso dall’economista americano Warren Mosler, denominata Teoria della Moneta Moderna (Modern Monetary Theory, in inglese). Secondo questa concezione, la spesa pubblica statale non deve essere necessariamente effettuata in deficit (cioè tramite l’emissione di titoli di stato, su cui bisogna pagare gli interessi), bensì può e deve essere fatta tramite l’emissione di carta-moneta da parte della banca centrale al servizio del governo statale. Ma così, non c’è ugualmente il rischio d’inflazione? Certo, ma tale rischio viene annullato dalla tassazione: è tramite le tasse, infatti, che lo stato tiene sotto controllo la crescita dei prezzi, oltre ad avere la funzione di sostenere la domanda di moneta, richiesta dai privati proprio per pagare le tasse. Vediamo di capire il funzionamento: in situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo, lo stato deve effettuare quanti più trasferimenti possibili ai privati, per supportare i consumi; ad oggi, tale spesa pubblica è limitata entro la quantità massima di titoli di stato che è possibile emettere per non sforare eccessivamente il rapporto Debito pubblico/PIL (tenuto continuamente sotto controllo dalle istituzioni europee in virtù del Patto di Stabilità e Crescita e del Fiscal Compact), ma secondo la MMT non esiste alcun vincolo alla spesa dello stato che, anzi, coincide esattamente con i risparmi dei cittadini e delle imprese. Perciò, più lo stato trasferisce risorse e più i privati accumulano ricchezza. A lungo andare ciò genera inflazione, che verrà controllata tramite la tassazione: le tasse riducono, infatti, le disponibilità liquide in mano ai privati che, quindi, acquisteranno meno prodotti facendo diminuire i prezzi degli stessi, riportando il mercato dei beni in equilibrio di piena occupazione. Inoltre, lo stato con sovranità monetaria può anche attuare una politica monetaria restrittiva, riducendo la quantità di moneta presente nel mercato dei fondi, il che farà diminuire l’equilibrio nel mercato dei beni, per via dell’aumento dei tassi d’interesse, riportandolo in equilibrio di piena occupazione, così come si evince dalla figura.

L’unica pecca di questa efficace teoria è proprio la sovranità monetaria: sappiamo infatti che questa non appartiene ad alcuno stato membro dell’UE poiché è stata trasferita, con il Trattato di Lisbona, esclusivamente alla BCE, che decide le politiche monetaria da attuare per tutta l’Eurozona. Pertanto, per poter applicare la MMT in Italia, bisognerebbe uscire dall’Europa, ma ciò è praticamente impossibile dal punto di vista economico, poiché causerebbe il default del nostro paese. Inoltre, la teoria basa i suoi concetti sulla corretta amministrazione statale: i politici governanti dovrebbero, teoricamente, agire nell’esclusivo interesse della collettività, effettuando spese ad alto moltiplicatore fiscale in modo tale da creare una crescita più che proporzionale alle risorse investite dallo stato. Sappiamo bene, però, che in realtà non è affatto così: i nostri amministratori, purtroppo, di qualsiasi inclinazione politica essi siano, hanno, in quanto individui, interessi personali che divergono da quelli collettivi, che li portano ad effettuare scelte di investimento completamente illogiche dal punto di vista economico, sprecando ingenti quantità di risorse per spese fine a sé stesse, che portano i conti pubblici italiani sempre più vicini al collasso.

Dunque, dobbiamo accontentarci delle limitate risorse a disposizione e sperare che la BCE, e le istituzioni europee tutte, siano indulgenti verso le nostre necessità, fin quando, si spera, possa essere creato un bilancio unico europeo, con un’unica area di tassazione comunitaria, in modo tale da eliminare la concorrenza sleale che alcuni stati membri effettuano tramite bassissime tassazioni alle imprese, così da avere più risorse a livello comunitario da poter spendere ed investire in welfare ed infrastrutture, in maniera centralizzata, cosa che sarà sicuramente più efficiente rispetto alla gestione nazionale delle risorse.


[1] “Coronavirus, dopo l’emergenza quasi il 60% delle famiglie italiane non riesce ad arrivare alla fine del mese”, IlSole24Ore, 8 luglio 2020.

[2] “OCSE, in Italia a rischio fino a 1,5 milioni di posti di lavoro”, Giuliana Licini, IlSole24Ore, 7 luglio 2020.

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