Differenza di genere, un problema che va oltre il sociale

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Articolo scritto da Francesco La Spina, studente di economia aziendale @Unito. 

Tra i primi cinque obiettivi dell’agenda delle Nazioni Unite 2030 troviamo la disparità di genere. Questa, secondo gli analisti di WEF, è strettamente correlata al prosperare dell’economia. Ma cos’è davvero l’uguaglianza di genere? Partiamo col definirla come l’insieme delle differenze che intercorrono dal punto di vista pratico tra il genere maschile e quello femminile nella sfera economico, sociale, politico e culturale. 

Nel corso della storia, fino alla fine dell’ 800 circa, si pensava che le differenze di genere erano dovute a fattori intellettivi e biologici. L’uomo era forte, era colui che usava il proprio fisico per cacciare, lavorare, la donna cresceva i figli. 

Nel 1869, dopo che l’Inghilterra concesse il diritto di voto alle donne limitatamente alle elezioni locali tramite il Corporations Act,  nacque un movimento femminista “le suffragette”. Le donne volevano essere considerate a livello giuridico, politico ed economico, al pari degli uomini. Volevano insegnare nelle scuole, volevano l’uguaglianza dei diritti civili, volevano godere del diritto di voto. Solo dopo la Grande Guerra che vide gli uomini impegnati al fronte e le donne svolgere ruoli che prima erano prettamente maschili le donne vennero prese in considerazione. Il primo paese ad introdurre il suffragio universale fu la Nuova Zelanda nel 1893, nel 1919 la Germania concedette questo diritto. L’Inghilterra lo concesse nel 1928, mentre la Francia nel 1945. In Italia il fascismo ritardò il suffragio universale. Il decreto De Gasperi-Togliatti, che prevedeva il diritto di voto per tutti gli italiani con te superiore a 21 anni, venne approvato nel 1945 durante la guerra dal presidente del consiglio dei ministri dell’Italia Libera Bonomi.

Disparità di genere:

Si parla di Gender Labour Gap quando si vuole indicare la disparità di genere riguardante l’accesso al mondo del lavoro. Per quanto concerne l’Italia il gender labour gap è tra i più bassi d’Europa. Solo 1 donna su 2 lavora in media. Questo valore si abbassa man mano che si scende verso sud. Il divario uomo donna è costato 268 miliardi, oltre il 18% del PIL. 

Secondo uno studio della Commissione Europea, Direzione generale occupazione, affari sociali e pari opportunità il gender gap  è visto come un vincolo alla crescita: chi assume sostiene dei costi potenziali maggiori. Pur non considerando l’aspetto sociale del fenomeno, dovrebbe essere considerato come un investimento, seppur costoso, ma produttivo capace di promuovere occupazione e incremento del prodotto interno lordo generando un incremento positivo nella bilancia commerciale. Basti pensare che le esportazioni aumenterebbero passando dall’1,6 al 2,3 invece per quanto concerne le importazioni queste passerebbero dallo 0,4 allo 0,7 ( fonte eige.Europa.eu ).  Il PIL mondiale varrebbe circa 28 trilioni di dollari. Maggiore indipendenza economica della donna comporterebbe per via dell’effetto reddito maggiori consumi di beni e servizi generando un integrazione nel sistema fiscale come contribuito del welfare state. La lotta alla disparità di genere potrebbe essere il vantaggio competitivo dell’Italia e dell’Unione Europea tutta da sfruttare nei mercati internazionali. Un fenomeno economico e sociale analizzato che per le Nazioni Unite ogni 100 uomini che vivono con meno di 1,9$ al giorno ci sono 104 donne.

Il Gender Wage Gap è quando si guarda al divario salariale a tutti i livelli a parità di mansione. Emerge che nell’area europea le donne nel 2018 hanno guadagnato il 14,8% in meno degli uomini, guardando la retribuzione lorda oraria media. La maggiore differenza è stata registrata in Estonia, 22,7%, al secondo posto troviamo la Germania, 20,9%, chiude il podio la Repubblica Ceca, 20,1%. Mentre la minore differenza è stata registrata in Romania, 3%, seguita da Lussemburgo, 4,6%, e Italia, 5% ( fonte istat). In italia una donna manager guadagna circa 14000 lordi in meno rispetto un manager uomo. I dati OCSE affermano che 4 donne su 10 lavorano part-time.

Anche se nel 2006 è stato firmato il decreto legislativo 198 che ha introdotto il codice delle pari opportunità l’Italia è indietro sulla parità di genere. Il codice all’articolo 1 recita:” Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, nonché integrazione dell’obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte le politiche e attività”. Il codice pone l’obiettivo di promuovere e coordinare le pari opportunità tra uomo e donna. Basti pensare che sport come il calcio dalla stagione 2022/23 riconosceranno l’attività professionistica alle donne. Molte esponenti come Sara Gama, capitano della nazionale italiana e della Juventus, si sono esposte contro il gender wage gap. Così come Catt Sendler che quando scopre che il suo collega  uomo con condivide lavoro e responsabilità guadagna il doppio di lei si licenzia.  Poi ci sono quelle storie con il lieto fine come quella di Maura Latini che inizia a lavorare in UniCoop a 15 anni  come cassiera e da giugno 2019 Maura è amministratore delegato di Coop Italia. 

Il Gender Entrepreneurship Gap è invece il divario imprenditoriale di genere. Anche questo indice è alto, si stima che il rapporto uomo donna imprenditori si attesta 70%-30%. Le donne imprenditrici sono pioniere nei paesi con un un PIL pro capite basso. I settori con maggior tasso di imprenditorialità femminile riguardano: agroalimentare, moda, terziario avanzato, turismo, cultura, sport e benessere, assistenza socio-sanitari. Il settore legato all’erogazione di servizi fa da capo fila con più del 65% di donne imprenditrici, la filiera agroalimentare si attesta al 17%.  

È il meridione a primeggiare per avere l’imprenditorialità più rosa d’Italia, più del 35% del totale. Tra le donne imprenditrici c’è da menzionare le sorelle Victoria California Claflin e Tennessee Celeste Claflin fondatrici della prima società di brokeraggio a Wall Street la Woodhull, Claflin & Co. Anche Ruth Marianna Handler non è da meno. Già proprietaria di una fabbrica di bambole ne crea una ad immagine e somiglianza di un adulto, la Barbie permettendogli di diventare la bambola più famosa del mondo.

Le disparità di genere dipendono dalle responsabilità di assistenze verso terzi individui. Spesso la donna dopo la gravidanza rinuncia all’occupazione. La presenza di quote rosa nei board of directors, o in qualsiasi altra posizione di vertice, non deve essere visto solamente come un fenomeno sociale ma anche economico.

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