Burocrazia: zavorra dell’economia italiana

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-Articolo di Mariarosaria Dambra, studentessa di Economia e Commercio @UNIVPM

Chiunque, almeno una volta nella vita, ha avuto o avrà a che fare con la BUROCRAZIA. Questo concetto di per sé non è ansiogeno, ma legato all’aggettivo “italiana”, forma un connubio preoccupante.

La “burocrazia italiana” è caratterizzata da eccessivi adempimenti e troppe regole da rispettare che vanno ad ostacolare l’efficienza delle Pubbliche Amministrazioni. Un’amministrazione è, infatti, più lenta e farraginosa se le norme da seguire sono tante. Non solo, ma la stragrande maggioranza delle stesse sono lunghe e scritte male, modificate ed integrate di continuo tramite commi che “tendono verso l’infinito ed oltre”.

Testimonianza di tutto ciò è fornita dall’European Quality of Governmnet Index, edizione 2017.[1] Questa analisi, sviluppata dall’Università di Göteborg e finanziata dalla Commissione europea, fornisce un’indicazione sulla qualità delle istituzioni pubbliche nei 28 Stati europei, considerando congiuntamente tre aspetti: il grado di imparzialità nell’esercizio delle funzioni pubbliche, il livello della corruzione e la qualità nell’erogazione di servizi pubblici. A primeggiare, nella classifica, i Paesi scandinavi, l’Italia occupa la 23esima posizione, preceduta da Lettonia e Slovacchia.

I COSTI DELLA BUROCRAZIA

Carlo Cottarelli parla dell’eccesso di burocrazia come uno dei sette peccati capitali dell’economia italiana.[2] Individua tre tipologie di costi ad essa correlati: quelli che nascono dal rapporto tra imprese e PA; quelli che incidono sulla spesa pubblica; quelli che riducono l’efficienza economica.

Secondo un’analisi condotta dall’European House Ambrosetti nel 2019, la stima dei costi che incombe sul nostro sistema produttivo per la gestione dei rapporti con la PA (moduli, richieste, permessi, …) ammonta a 57,2 miliardi di euro. La facilità di svolgere attività imprenditoriale è, forse, l’indicatore migliore della complessità della nostra burocrazia. Il riferimento a questo proposito è “l’ease of doing business rank”, classifica del “Doing Business” che annualmente viene pubblicata dalla World Bank. Ben 190 Stati vengono posizionati in base alla loro capacità di offrire un contesto il più possibile business-friendly. La graduatoria si ottiene tramite “l’ease of doing business score” che funge da indicatore aggregato delle performance ottenute da ogni Paese in dieci topic (tempistiche per aprire un’impresa, per ottenere permessi di costruzione, per avere un allacciamento elettrico, per pagare le tasse, per il recupero di un credito per via giudiziale, e così via) cui ogni piccola e media impresa deve imbattersi sin dalla sua nascita (starting a business). Nelle prime due posizioni del ranking 2020 troviamo Nuova Zelanda e Singapore; dei Paesi dell’eurozona neanche l’ombra nelle prime dieci posizioni, il primo Stato dell’UE è la Danimarca (4°).[3] Il nostro Paese, che nelle classifiche è sempre in controtendenza (vedi previsione PIL della Commissione europea –summer 2020 forecast), occupa il 58esimo posto, preceduta da Kosovo, Kenya, Romania, Cipro e Marocco. Interessante è scendere più nel dettaglio per analizzare la situazione italiana nei vari topics scores.

Fonte: Doing Business, Economy Profile Italy

Per l’area “Starting Business” (che a sua volta considera: numero di procedure, tempi e costi di avvio attività), il nostro Paese occupa circa la metà della classifica (98esimo). L’attività produttiva in questo modo viene stroncata sul nascere e le poche imprese che riescono a sopravvivere, non hanno vita facile (119esimo e 128esimo posto rispettivamente per facilità di ottenimento di crediti e pagamento tasse). Tutto ciò scoraggia, inoltre, l’investimento estero.

Per quanto riguarda gli effetti sulla spesa pubblica, alla burocratizzazione delle procedure, molto spesso, si affiancano casi di corruzione (altro peccato capitale). L’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) per il triennio 2016-2019 ha individuato gli “appalti pubblici” come l’ambito più colpito da questo fenomeno (74% degli eventi). Il 48% ha riguardato, come contropartita della corruzione, la fornitura di denaro pubblico. Tutto questo è possibile perché il ruolo del burocrate, che tutto sa, è fondamentale per il funzionamento della macchina dello Stato; il ministro di turno dipende da questa figura per capire quello che sta succedendo. Con un simile “potere” risulta facile, ad esempio, mantenere in vita programmi di spesa dai quali trarre una fonte di reddito addizionale. L’altra faccia della stessa medaglia prende il nome di burocrazia difensiva. Ai giorni nostri Amleto si chiederebbe: “Firmare o non firmare, questo è il dilemma”. Di fronte ad un quadro normativo sempre più prolisso e complicato, minacciati dal malaffare, i funzionari pubblici sono spaventati dal rischio di incorrere in responsabilità civili o penali per le loro decisioni. Questi comportamenti causano un sensibile rallentamento nelle procedure amministrative e quindi nella realizzazione di attività economiche.

Da pochi giorni è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto “Semplificazioni”, o “Libera Italia” per una più rapida ripresa post emergenza Covid-19. Dai contratti pubblici, alla green economy, interessando anche la pubblica amministrazione. Una particolare attenzione riveste la decisione di eliminare la responsabilità erariale per colpa grave che tranquillizza la parte dei dipendenti pubblici che sostiene di non adottare gli atti dovuti per paura di una possibile condanna della Corte dei conti.

Attualmente, la vera emorragia di denaro pubblico non deriva da comportamenti dolosi, bensì colposi: acquisto di beni inutilizzati, consulenze con privati nonostante le competenze interne alla PA, erogazione di fondi in misura maggiore del dovuto, e così via. Nel 2019 l’importo complessivo delle sentenze di condanna in primo grado della Corte dei conti è stato di € 455.682.697 (di cui 95.958.889 con decisioni passante in giudicato). Senza responsabilità per colpa grave, gran è parte di questi danni non verrebbero risarciti e il relativo onere, dunque, resterebbe a carico dei cittadini.

Questa decisione, secondo quanto rilasciato dal presidente dell’Associazione dei Magistrati della Corte dei Conti, Luigi Caso, potrebbe provocare gravi danni in una fase storica, come quella attuale, che richiede di investire ingenti risorse pubbliche, ma in modo efficace, limitando gli sprechi.[4] La maggioranza degli esperti in materie giuridiche, quindi, si oppone.

Le due tassonomie di costi suindicate impattano sull’efficienza dell’economia italiana. Situazione che oggi sprofonda per via dell’emergenza pandemica che ha messo in ginocchio il nostro Paese. E come in ogni crisi che si rispetti, il riferimento all’eccedenza di burocrazia non può mancare. Nel corso degli anni e dei vari governi qualcosa si è fatto, ma ben poco in realtà. Ottimi sono stati gli interventi a favore della digitalizzazione e della trasparenza delle PA, non c’è dubbio.

Per un istante, pensate, però, alle condizioni delle strade italiane, piene di buche che ci costringono a slalom degni di uno sciatore professionista. Ogni volta le autorità competenti, per via delle ristrettezze economiche, fanno riparare solo i tratti impraticabili, riempiendo le buche. Al termine di un temporale, le buche originarie diventano voragini. Vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo con il tema dell’articolo. Potremmo paragonare la strada alla nostra burocrazia. Questo “peccato capitale” non si può combattere con soluzioni singole e a breve termine. Occorre partire dalle basi, rimuovere l’asfalto ormai deteriorato e sostituirlo con uno nuovo, più efficiente. Tutti concordano con il bisogno di riordinare e semplificare il quadro normativo, una manovra di questo calibro, però, deve essere accompagnata dal ricambio generazionAle.

@redazione


[1] https://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/studies/pdf/measuring_quality_gov.pdf

[2] Carlo Cottarelli, I sette peccati capitali dell’economia italiana, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2018.

[3] https://www.doingbusiness.org/content/dam/doingBusiness/pdf/db2020/Doing-Business-2020_rankings.pdf

[4] Il Foglio, 30 giugno 2020.

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